Il Pitone domestico è partito. Qualche giorno fa. Sono solo per un po’. Ho da lavorare. Tanto. Alla fine vedrai, mi dico, il tempo passa in fretta. Alla fine quando sarà tornato ti sembrerà partito ieri. Palle! Il cielo è grigio. Già a settembre. Non ho parole, ma neanche la forza di inveire dentro. È la pianura, bellezza, avrebbe detto qualcuno in bianco e nero. Sono alla seconda caffettiera alle dieci. Qui è tutto in bianco e nero oggi. Senza il Pitone. Fa freddo. Poi piove. Quasi quasi mi faccio uno shampoo, avrebbe cantato qualcun altro in bianco e nero. E dire che la testa ovattata ce l’avrei pure. Ma l’ho già fatto, lo shampoo. Che strana giornata. Passata davanti al computer.
È venuta la sera, lascio il mio scrittoio ed entro in cucina. Mi spoglio di quel blues quotidiano, pieno di inerzia, e, rivestito condecentemente di un grembiule nuovo, regalo di una cara amica, provo per qualche ora a sdimenticare gli affanni uggiosi dell’assenza. A farne qualcosa, a elaborarli nelle azioni di un dolce per la colazione di domani. Di un tarallo, un tarallo per provarci a cominciare, domani, in modo diverso da oggi.
Tarallo sopra la lontananza del Pitone dilettissimo
ricetta di consolazione
Mi piace continuare a chiamarlo così, tarallo, quello che tutti chiamano ciambellone. Un po’ per snobberia crepuscolare, un po’ perché alla parola “tarallo” si associano significati birichini come non succede al termine da tinello buono “ciambellone”. Sì, con “tarallo” in Abruzzo or è molt’anni si indicava comunemente sia il ciambellone, sia il salvagente, sia, in modo pochissimo elegante, il deretano, con tutte le possibilità di variazioni del caso: dire a qualcuno «tie’ nu tarall’» significa[va] ammirare la sua molta fortuna; rivolgerlo a una signora è[ra] una sottolineatura grossier che non è necessario vi spieghi. Capite bene che al semplice pensiero di avere una fetta di tarallo per colazione il mondo potrebbe di nuovo sorridermi a colori. Anche senza il Pitone domestico 😦 Uffa!
Ingredienti
- 4 uova;
- 350 gr di farina (io ho usato la 0 e la 2 perché avevo quelle. Non mi va di sottilizzare. Non per il tarallo!);
- 250 gr di zucchero (di canna, ce l’avevo aperto);
- 100 gr di olio extravergine d’oliva;
- 8 cucchiai di latte fresco;
- 1 bustina di cremor tartaro (per chi non lo sapesse è la versione pre-moderna del lievito per dolci);
- mezzo cucchiaino di bicarbonato di sodio;
- la buccia grattugiata di due limoni (non trattati, mi raccomando);
- mezzo cucchiaio di cannella;
- un po’ di liquori per dolci (avete solo da sbizzarrirvi);
- cacao amaro a piacere.
Preparazione Sbatterete bene le uova con lo zucchero, incorporando pian piano tutti gli altri ingredienti. Ungerete una teglia, la infarinerete e vi verserete il composto. Ne terrete un po’ da parte, e in questo po’ amalgamerete del cacao amaro, per poi versarlo sopra al precedente: così otterrete un bell’effetto marmorizzato, che è il vero charme di un tarallo come si deve.
Ah dimenticavo di darvi un dettaglio fondamentale: il tarallo è tarallo e non ciambellone, perché per farlo è importante NON avere la teglia adatta. Il buco si otterrà usando allo scopo un oggetto qualsiasi (in questo caso il fitro della caffettiera napoletana opportunamente unto e infarinato) cosicché il buco venga non proprio al centro. Se no che tarallo sarebbe? Intanto avrete preriscaldato il forno a 180°, e potrete infornare il tarallo per una mezz’ora/tre quarti (ma ognuno sa i forni suoi). Sfornerete e lascerete raffreddare per una notte prima di gustarvelo per provare a dare da subito il verso giusto alla vostra giornata.
Il Pitone domestico non c’è. Stavolta non devo manco proteggerlo col filo spinato, il tarallo: arriverà sano e salvo fino alla colazione di domani.
Ciomp!
Burp!