Archivio mensile:marzo 2020

Una pizza a quest’ora?

Tra poco è ora di cena, e questa non è ora di pizze. Non lo è nella tradizione gastronomica della casa in cui sono cresciuto, che oltre che “gastro” è molto “nomica”, nel senso che è regolata da leggi e consuetudini ataviche e soprattutto rigorose, rispettate sempre con attenta scrupolosità. Tra queste c’è quella che riguarda la pizza di cui vi parlo oggi: non si mangia mai a cena; solo a pranzo. Non è la pizza a cui state pensando: in Abruzzo tante cose portano il nome “pizza”. Questa è una di quelle. È la cosiddetta “pizza ggialla” o “pizz’ d’ ‘randinnjie,” cioè “pizza di granturco.” Si accompagna alle verdure, o allo stoccafisso, che a casa dei miei si mangiano solo, e dico SOLO, a pranzo. La pizza convenzionale, invece, si mangia solo, e dico SOLO a cena. Come del resto la verdura si mangia il lunedì, il brodo  il sabato, il ragù solo il giovedì e la domenica, la pasta solo a pranzo e potrei continuare. Dal piatto che ci si trova davanti a casa mia (ma la mia famiglia d’origine non è certo un’eccezione) si capisce il giorno della settimana.

Dunque, dicevo della pizza ggialla che si mangia solo a pranzo, specie di lunedì, che è il giorno della  verdura. È di una semplicità disarmante, ma proprio per questo nasconde qualche insidia. Gli ingredienti sono pochissimi. Ma non ci sono dosi: tutto si fa a occhio, “a sentimento” —  ricordando che   in Abruzzese “sentimento” significa insieme “sensibilità” e “intelligenza”; dire di qualcuno (dirlo a qualcuno sarebbe un filo pericoloso per chi lo fa) che non ha manco un po’ di sentimento equivale a dargli dell’ottuso.

Contintuo a divagare. Ecco, gli ingredienti sono questi:

Ingredienti

  • 2 parti di farina di granturco tipo “fioretto” (cioè quella sottile, non quella bramata)
  • 1 parte di farina di grano duro. Non è la semola, bensì la farina: è più sottile. Potete anche farla tutta di granturco, ma con le due farine è migliore. Se avete solo la semola, usate quella. Io uso una tazza da the come unità di misura.
  • sale (quanto basta, e quanto vi piace)
  • acqua
  • olio d’oliva buono

Preparazione

Mescolerete accuratamente le farine e il sale in un bacile. Porrete intanto l’acqua a bollire. La quantità dipende da quella delle farine; per quattro persone (cioè tre tazze da the di farine) io ne metto a bollire circa due litri.

Quando l’acqua bolle in modo intenso, inizierete a versarne nel bacile sulle farine, mescolando con un cucchiaio di legno. Procederete con poca acqua alla volta, riponendo sempre la pentola sul fuoco acceso perché deve essere sempre bollente. Versando e mescolando, otterrete in breve un impasto malleabile. Fermatevi con l’acqua e cercate di impastare anche se non tutta la farina sarà bagnata. Scotta, sì, lo so, ci vorrebbero le mani da contadini che pochi ormai hanno, ma con un po’ di pazienza ci si riesce. Formerete una palla, che schiaccerete ottenendo unaspecie di focaccia alta almeno due dita.

Cottura

La pizza ggialla si cuoce nel camino sotto al coppo che ho spiegato qui.  Ma si cuoce anche al forno, o in padella. Vi spiego l’ultima, la più veloce. Prenderete una padella, la ungerete e la porrete sul fuoco a fiamma viva, meglio se con uno spargifiamma. Quando sarà ben calda, ci porrete dentro la pizza e la lascerete rosolare, fino a quando non sentirete un bel profumo di arrostito e leggerissimamente bruciato. A quel punto girerete la pizza, fancendola rosolare dall’altro lato. Dovrà formarsi una bella crosta croccante.

Quando avrete ottenuto l’effetto, la pizza sarà pronta. Potrete accompagnarla alle verdure in umido (scavando la parte morbida e mescolandola ad esse, e mangiando quella croccante a mo’ di pane), allo stoccafisso in umido, o a quello che vi pare. Funziona benissimo come sostituto del pane, e dura per qualche giorno.

In giorni come questi, quando anche il lievito di birra è un’araba fenice, la pizza ggialla potrà essere, spero, d’aiuto.