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Fregnaccia, tu mi vai | il genio lusingando

Nelle primissime fasi del teatro d’opera, spesso i libretti e le partiture si stampavano, se si stampavano, solo dopo la rappresentazione. Erano un documento dello spettacolo, un monumento alla memoria di un evento che celebrava avvenimenti o ricorrenze importanti nelle corti principesche à la page, e non (non solo, almeno) un aiuto per seguire il canto in scena o per eseguire l’opera altrove o in altre occasioni.

Come nelle opere di corte del primo Seicento, la ricetta di oggi segue a distanza di un anno  il momento della preparazione. Conserva la memoria dell’evento (la cena con un caro amico e, ovviamente, con il Pitone), ma non serve a seguire, né a eseguire alcunché. Almeno per quest’anno. Se ne riparlerà al massimo la primavera prossima, quando si troveranno di nuovo le borragini tenere di marzo.  Mi piace assai l’idea di stare scrivendo un monumento alla memoria: aiuta a sentirmi sia à la page sia un po’ di antico regime, il che non guasta.

Fregnacce con ripieno di borragine e ricotta

Ingredienti

Per la pasta

  • farina di grano duro
  • uova
  • acqua
  • sale

Per il ripieno

  • foglie tenere di borragine
  • ricotta freschissima
  • uova
  • parmigiano e pecorino grattugiati
  • noce moscata
  • sale

Preparazione

Per la pasta. Con la farina formerete una fontana sulla spianatoia, al centro della quale romperete le uova e aggiungerete del sale. Dovrete calcolare all’incirca un uovo ogni cento grammi di farina. Avrete notato che non ho indicato dosi. Dipende tutto da che farina usate, dalla grandezza delle uova, dall’umidità, dal vento, dall’angolo di inclinazione di Marte rispetto a Venere, della velocità di Mercurio e così via. Dovrete stare accorte/i acché l’impasto sia malleabile, ma non troppo morbido.

Aiutandovi con la forchetta, inizierete ad incorporare le uova nella farina, procedendo dagli strati più interni della fontana. Poi passerete ad impastare con le mani, e non smetterete fino a che non vi verranno i bicipiti di Juri Chechi.

Porrete a riposare la pasta sotto un bacile di ceramiche per un po’ (regolatevi voi), e poi la stenderete con un mattarello, fino ad ottenere una sfoglia sottilissima.

Ecco, qui arriva la sorpresa: il mio monumento conserva la memoria di un evento non riuscitissimo. Avevo finito la farina di grano duro  portata dagli Abruzzi, e, come al solito, non ne ho trovata nei negozi qui al nord. Ho usata, allora, una farina di grano duro macinata a pietra nonsocché nonsoquanto, direbbero a Piombino, che però non si è lasciata stendere sottile come avrebbe dovuto. Mannaggiallamiseria! A quel punto era troppo tardi, e quindi mi sono tenuto la sfoglia così com’è uscita.

Con un carratore (scil. rotella da pasta), taglierete dei quadrati di pasta di circa dieci centimetri di lato. Dopo averli sbollentati, li porrete ad asciugare su strofinacci di lino. I miei erano tessuti a mano al telaio, non da suore cieche in notti di luna piena, purtroppo. Voi potrete fare anche senza.

Per il ripieno. Monderete, laverete e sbollenterete le foglie di borragine, poi le scolerete strizzandole con cura. Una volta fredde, le triterete finemente e le amalgamerete con la ricotta freschissia, alla quale aggiungerete la miscela di parmigiano e pecorino grattugiati, l’uovo o, al massimo, due uova, un po’ di sale (attenzione, assaggiate, perché se il pecorino è saporito potrebbe non servirne) e una grattata di noce moscata. Le dosi?  a occhio. Il ripieno deve essere morbido.

Porrete un cucchiaio di ripieno all’interno dei quadrati di pasta, ripiegando questi a metà, e poi ancora una volta: le Fregnacce saranno cioè aperte da due lati.

Procederete cos’ fino alla fine della pasta/ripieno.

Una volta terminato, metterete le Fregnacce ottenute in una pirofila precedentemente imburrata.

Per il condimento avete due scelte. Secondo me la cosa migliore è preparare del buon ragout meridionale, con cui coprirete le Fregnacce, spolverandole generosamente con parmigiano e pecorino grattugiati e passandole in forno per una bella doratura in superficie.

Oppure, come ho fatto in questa occasione, porrete su ogni fregnaccia una noce di ottimo burro (qui al nord ce ne sono di eccellenti), sempre spolverando con parmigiano e percorino grattugiati, e facendo dorare in forno.

Ciomp!

Ogni blog serba un mistero

I principi del Rinascimento avevano sempre agenti nei posti giusti. Nelle corti vicine, in quelle lontane, nelle città, purché ricche. Gli agenti riferivano su tutto quanto accadesse di interessante. Dalle loro scrivanie i principi ricevevano resoconti dettagliatissimi (e spesso spietati) su accadimenti e persone giudicati degni di nota: dalle visite di stato, alle cerimonie più o meno ufficiali, alle feste, a quante volte il tal sovrano aveva visitato di notte la sua legittima consorte o, soprattutto, le sue illegittime concubine, quanto tempo vi si era intrattenuto e perfino argomento ed evenutale esito di codeste “conversazioni”. Dagli agenti ricevevano poi le cose migliori in giro da quelle parti. Ogni sorta di beni e servitori: stoffe, libri, musica, reliquie, gioielli, musicisti, artisti, dipinti, nani, spezie, cibi speciali, animali esotici.

Non sono un principe del Rinascimento. Sono però un figlio unico, e il Pitone mi dice sempre che per questo ho una spiccata propensione a usare le persone che mi sono intorno, portandole, con garbo, a fare cose per me. Come un principe del Rinascimento. Be’, a dirla tutta, il Pitone si serve di espressioni meno lusinghiere quando esagero nella mia rinascimentalità principesca, ma non bisogna svelare proprio proprio ogni particolare di questo.

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Dunque, qualche tempo fa il Pitone era per lavoro a Lucca. Non ho resistito dall’usarlo come agente. Laggiù nella Toscana, terra di sogni e di legumi, il Pitone non avrebbe avuto difficoltà nel procurarmi quanto qui, in terra di Lombardia, è meno consueto: fagioli, ceci, lenticchie, farine di castagne di primissima qualità. Ecco, questa era la mia richiesta “principesca”. Il Pitone si è prestato con affetto e un filo rassegnazione (ormai gli tocca, lo sa), e, per amore, si è prestato anche a chiedere da chi andare. Questa è l’unica grande differenza con gli agenti rinascimentali: quelli sapevano già tutto. Ma che volete (sospiro), i tempi per noi poveri principi sono cambiati, e da un pezzo, ahimè.IMG_1983

Sempre per restare in zona. Il Pitone-agente ha scoperto, chiedendo, il negozio giusto. Ha comprato i faglioli e la farina di castagne giusti. Ma ha scordato il nome dei fagioli. Non ci sono più gli agenti di una volta, com’è vero! Che faglioli sono? Il Pitone si ricorda solo che finiscono in -ini. Capirai, siamo a cavallo, in Toscana qualsiasi cosa finisce in -ini. Con che fagioli avrò fatto la pasta non lo saprò mai. Che dire? ogni blog serba un mistero… (anche per il suo autore).

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Pasta e fagioli (misteriosi) in -ini

Ingredienti (per 4 persone)

Per la pasta:

  • 5 pugni di semola di grano duro;
  • 1 pugno di ottima farina di castagne;
  • acqua, sale.

Per la salsa:

  • fagioli misteriosi in -ini (300 gr.);
  • sedano, carote e cipolla;
  • 2 cucchiai di passata di pomodoro;
  • olio extravergine d’oliva;
  • sale.

Preparazione

Per la pasta:

mescolerete bene le farine, aggiungendo loro un pizzico di sale. Se vorrete le setaccerete, è meglio, specie con quella di castagne. Non è necessario, tuttavia; io non l’ho fatto. Basta stare molto attenti nella fase dell’impasto. Sulla spianatoia disporrete le farine a fontana, inizierete a versare dell’acqua al centro e ad impastare con le mani o con una forchetta. Proseguirete fino ad ottenere una massa omogenea ma non troppo morbida. Continuerete ad impastare per almeno un quarto d’ora, in modo da amalgamare bene le farine. L’impasto senza uova è sempre resistente alla manipolazione e poco elastico, ma è fondamentale lavorarlo bene e a lungo. C’è bisogno di energia, tempo e pazienza, come sempre.

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Ottenuto l’impasto giusto, lo porrete a riposare sotto un bacile di ceramica per una mezz’ora, poi procederete a tirare la sfoglia col mattarello, fino ad ottenerne una di pochi millimetri di spessore. Lascerete a ripostare anche questa, disponendola su un canovaccio, per un’ora. Passato il tempo necessario, la taglierete a strisce. Otterrete quelle che dalle mie parti si chiamano sagne o sagnette. Ho fatto qualcosa di simile, ma non proprio quelle.

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Per la salsa:

metterete a bagno i fagioli misteriosi in -ini per una notte. Al mattino li scolerete, sciacquerete, e li porrete in una pignatta (aka pentola di terracotta atta alla cottura dei legumi) con acqua pari al doppio del loro volume, l’olio, il pomodoro e il trito di carote sedano e cipolla. Avrete nel frattempo acceso il camino, e collocherete poi la pignatta coi fagioli accanto al fuoco. Di tanto in tanto controllerete che i liquidi non si siano troppo ritirati; nel caso aggiungerete acqua bollente, o, meglio, brodo (vegetale o meno) anch’esso bollente. Aggiusterete di sale quando i fagioli saranno quasi pronti. Occorreranno alcune ore per la cottura nel camino. Ovviamente otterrete lo stesso effetto (la cottura) anche usando comuni fornelli. Ma che principi rinascimentali sareste così?

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Metterete poi a bollire dell’acqua in una pentola capiente. Farete lessare la pasta, scolandola con una schiumarola pochissimo dopo che sarà salita in superficie. Condirete il tutto con il sugo di fagioli, facendo attenzione ad essere particolarmente generose/i. Quando la pasta è tirata col mattarello assorbe molto sugo, e se questo è scarso o troppo asciutto, il tutto viene fuori una “mappazza” che i prinicpi rinascimentali avrebbero molto deprecato.

IMG_1954Ecco la pasta e fagioli misteriosi in -ini.

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Un pranzo da principi. Grazie al Pitone domestico, e alla sua pazienza coi figli unici.

IMG_1981Ciomp!

E se poi non basta? Storie di zucche e di un cuoco ansioso

 index«E se poi non basta?» è la domanda che martella nella testa di ogni cuoco ansioso che si rispetti prima di una cena in cui vuole fare bella figura. Perché sa che la bella figura inizia dalla quantità, prima di ogni cosa. L’essere terrone gioca in questo un ruolo fondamentale: le tavole semplicemente devono piegarsi per la quantità di cibo, che deve poter esaudire qualsiasi richiesta di bis di tutte le portate da parte di ospiti che in genere stanno per esplodere già dopo solo l’antipasto.

 Prima di una cena in cui volevo fare bella figura nel senso di cui sopra, mi sono fatto la domanda topica, «E se poi non basta?», e, con questa in testa sono andato al mercato a comprare la zucca per fare i tortelli.

Ne ho comprata una da oltre 1 Kg. A tavola saremmo stati in sei. «E se poi non basta»? Ne ho comprata  un’altra dello stesso peso.

 Mi sono ritrovato con un vagone di ripieno per tortelli, che se avessi voluto impiegare davvero tutto allo scopo starei ancora lì per tutto il mese di dicembre a tirare sfoglie. Nella mia cucina c’era ripieno alla zucca ovunque; avrei potuto sfamare tutto il vicinato, compresa la caserma di fronte.

 Che fare?

Innanzitutto i TORTELLI DI ZUCCA, l’idea originaria foto3Ingredienti (per 4 persone):

Per la pasta

  •   400 gr. di farina tipo 0. Non ne avevo in casa, e al suo posto ho usato una semola di grano duro macinata a pietra. Risultato? Mi sono spezzato schiena e braccia a tirare la sfoglia, che per i tortelli deve essere sottile ed elastica. Quindi usate la farina giusta, altrimenti sapete quello che vi attende;
  • 4 uova;
  •  1 pizzico di sale;
  • acqua, 1/2 bicchiere, ma anche meno o un po’ di più. Dire quanta con precisione è impossibile, dipende dalla farina che usate, dalla grandezza delle uova, dall’umidità e dalla temperatura dell’ambiente dove lavorate, dalle fasi lunari, dall’inclinazione dell’asse terrestre, dalla prossimità della cometa di Halley. Il mio consiglio è di metterne sempre POCA all’inizio. Come vi dicevo, una buona sfoglia per tortelli è sottile; se l’impasto dovesse risultarvi troppo asciutto e, di conseguenza, difficile da sfinare, potete sempre inumidrvi le mani mentre lo lavorate, funziona!

Preparazione

Sulla spianatoia fate una fontana con la farina, rompeteci dentro le uova, mettere l’acqua, il pizzico di sale e iniziate ad impastare.fotoLavorate bene fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo. Mettetevi l’anima in pace: ci vogliono calma,  tempo ed energia per ottenere un buon risultato.

Riponete la pasta ottenuta sotto un bacile rivesciato, e fate riposare per una mezz’ora. Stendete poi la sfoglia con un mattarello fino a farla molto sottile. Alcuni di voi saranno tentati di usare la macchina per la pasta, quella con la manovella. Per i tortelli potete cedere a questa tentazione, ve lo concedo. Col mattarello la sfoglia resta ruvida, con la macchina invece liscia. In fatto di pasta I like it rough, cioè, sono sempre per il ruvido, ma, in questo caso, de gustibus… foto 1Ritagliate con gli attrezzi che avete dei quadrati, dei cerchi, dei rombi, a piacere (io col bicchiere ho fatto dei cerchi di circa 5-6 cm l’uno) in cui metterete il ripieno (vedi oltre), e chiuderete ripiegandoli a metà, e sigillandoli col ‘carratore’ (a destra nella foto, prima del mattarello. Credo che in Italiano si chiami tagliapasta, ma non ne sono sicuro) o col giocattolo che preferite. foto 5I tortelli ottenuti li cuocerete in acqua bollente salata per 4/5 minuti al massimo, poiché dovranno restare al dente.foto 3

Condirete i tortelli con burro e salvia e una bella spolverata di parmigiano o grana grattugiato fresco (e dico: FRESCO!).

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Per il ripieno:

  • 600 gr. di polpa di zucca mantovana (ripeto, mantovana!) cotta al forno;
  • 300 gr. di grana o parmigiano grattugiato fresco; non vale quello delle bustine del supermercato, se ce l’avete in frigo buttatelo e vergognatevi (tanto) per averlo comprato;
  • 300 gr. di ricotta freschissima (non è necessario abitare di fianco al nonno di Heidi, ma ci siamo capiti);
  • 2 uova;
  •  spezie varie: noce moscata, pepe macinato (al momento!), salvia o maggiorana fresca (quella che coltivate sul balcone o in giardino, se non ne coltivate ponete subito rimedio). L’alternativa tra salvia e maggiorana dipende da che cosa fate del ripieno: se lo usate come tale o se ci fate altro (vedi oltre). Visto che i tortelli sarebbero stati conditi con burro e salvia nel ripieno ho messo la maggiorana;
  • sale a piacere.

Preparazione:

Avvolgete la zucca con carta stagnola e mettetela in forno ventilato (per chi ce l’ha) a 200° per 45 min/1h. Quando è cotta lo capite perché ci infilate dentro un coltello senza incontrare resistenza. Scavatene la polpa liberandola dai semi, e schiacciatela con uno schiacciapatate.

Lasciate raffreddare la purea di zucca ottenuta, e poi incorporate tutti gli ingredienti, avendo cura di amalgamarli molto bene. Questa è una delle occasioni in cui un è utile uno sbattitore elettrico, purché abbia una certa potenza, se no ve lo vedrete morire tra le mani in pochi secondi, quindi: occhio!foto 2Ecco. Una volta fatti i tortelli per la cena, sono rimasto con una quantità industriale di ripieno (le dosi erano certo quelle che ho ricalcolato per questa ricetta dopo l’esperienza fatta). Che fare?

Ho pensato di farne uno SFORMATO DI ZUCCA

 Preparazione

 Ho messo il ripieno dei tortelli in una pirofila unta e spolverata di

  •  pan grattato

tra le spezie qui ho messo la salvia; usate la maggiorana, se preferite, o, se siete degli eterni indecisi mettetele enrambe, ché non muore nessuno.

Ho poi spolverato la superficie con altro parmigiano grattugiato e pan grattato, e ho condito con olio extravergine d’oliva a filo. Ho cotto per 40 minuti buoni a 200° fino ad ottenere sulla superficie una crosticina bruna (se sono davvero 200°: il mio forno è sfigato e lento fino all’estremo. Ognuno sa i forni suoi e si regola per non bruciare quello che ci mette dentro). Questo è il risultato: foto 1Da una quantità industriale di ripieno è venuta una quantità industriale di sformato, amalgamarlo è stato una fatica immane, anche perché il mio sbattitore è del tipo che si sarebbe fuso solo a guardarlo il ripieno. Quindi ho dovuto fare con la forza delle mie braccia, che dopo aver impastato e tirato la sfoglia non me le sentivo più.

Chisciccis’ l’anzia!!! Scusate, ma in certi momenti impreco in dialetto. Per i non (ancora) esperti in Abruzzese traduco: “che sia uccisa l’ansia!”

Ad ogni modo anche l’ansia ha i suoi lati positivi, per fortuna. Dalla cucina lo sformato ha invaso poi il congelatore, e  si è rivelato provvidenziale per cenette improvvisate, e per quei giorni da disperazione per frigo vuoto.

 Alla prossima