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…als wie ein Lamm

Avere un impero nella propria storia recente può avere dei vantaggi dal punto di vista gastronomico. In memoria dei bei vecchi tempi, Paesi non baciati dal clima conservano approvvigionamenti dalle ex province, che nelle condizioni strettamente nazionali di adesso non  potrebbero manco sognarsi. Non succede sempre. A Londra, per esempio, fino a qualche anno fa non è che ci fossero tutte ‘ste tracce del recentissimo passato imperiale, e trovare ingredienti non britannici poteva rivelarsi una fatica erculea (e con ingredienti solo britannici sai che scialo in cucina!). A Vienna, per fortuna, le cose sono diverse. L’Italia, l’Oriente, i Balcani, le steppe sono sempre stati presenti nei mercati e sulle tavole senza troppe difficoltà, solo con qualche costo aggiuntivo, in passato, che negli ultimi anni si è poi ridimensionato.

Càpita così che a Vienna ci si possa lanciare in ricette che altrove sarebbero impossibili. Non bisogna mica andare fin nel deserto della Louisiana; in alcune città della Lombardia, tanto per fare un esempio, trovare carne d’agnello non è semplice. Persino i macellai più fancy mi hanno a volte confessato (con grande onestà e un filo di dispiacere) di non riuscire a procurarla, nemmeno sotto le feste pasquali. A Vienna, invece, c’è solo l’imbarazzo: si può scegliere tra la carne ovina “intensa” dai Balcani o dalla Turchia, e quella dilicatuzza degli allevamenti alpini. La carne ovina qui usa, e chiederne dal macellaio non significa venire immediatamente antropologizzati… son soddisfazioni!

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Stavolta ho optato per la carne ovina intensa. Al Brunnenmarkt ho identificato un banco di macelleria orientale con una fila lunga ed etnicamente variegata. Che mustacci! Che figure! Io non so se son Valacchi o se Turchi son costor! Ho comprato una sella d’agnello per l’arrosto della domenica, una domenica viennese.

Sella d’agnello arrosto

Ingredienti:

  • sella d’agnello disossata;
  • alcune fettine di lardo;
  • una cipolla;
  • due carote non grandi;
  • mezzo bicchiere di vino rosso;
  • rametti di rosmarino fresco, foglie di salvia fresca;
  • grani di pepe, bacche di ginepro, un pezzo di cannella, alcuni chiodi di garofano, due foglie di lauro, una grattata di noce moscata;
  • olio d’oliva extravergine;
  • sale.

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Preparazione:

Aprirete la sella d’agnello, e la fodererete con alcune fettine di lardo, il rosmarino, la salvia, i grani di pepe e di ginepro. La arrotolerete, legandola poi ben stretta con del filo da arrosti, e cospargendola con del sale.

In un tegame farete scaldare dell’olio d’oliva extravergine (giacché ce l’avevo ho usato anche qualche fettina di lardo), e a fiamma viva farete leggermente rosolare la carne in modo da sigillarla.

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A questo punto sfumerete col vino, abbasserete la fiamma, aggiungerete carote e cipolla a fette e il resto degli aromi, facendo cuocere a fiamma dolcissima e con tegame coperto per circa un’ora e mezza.

imageFarete raffreddare la carne, la taglierete a fette per riporla nel fondo di cottura, con cui la farete scaldare prima di servire.

imageL’accompagnerete con delle patate al forno (con la buccia) e con dell’ottimo vino rosso di corpo non robusto, per esempio un Blaufränkisch del Weinviertel, che è lo charme di una cena viennese imperiale.

image(Kaiser-)Ciomp!

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A qualcuno piace grezzo

Lo ammetto, a vivere nelle pianure del Nord ci sono dei vantaggi: quando vai in pescheria ti puliscono il pesce. Può dirsi, senza adulazione alcuna, che questa sia una civilissima convenzione, segno di urbanità antica. Dove il pesce è un fatto quotidiano e non (solo) prelibatezza esotica (e, in fondo, sempre un po’ misteriosa come qui), invece, non si usano certe cortesie. Nei posti di mare, specie dalle mie parti, al Sud, chiedere al pescivendolo di “essere puliti il pesce” suonerebbe un po’ come pretendere dal fruttivendolo di essere “sbucciati le mele” e a casa propria. È una cosa che semplicemente non si fa. Capirete il mio stupore, la mia prima volta, quando al banco del pesce una signora gentile mi rivolgeva la domanda «vuole che gliela pulisca?» riferendosi alla spigola che avevo appena scelto. Come?!? E io che mi vedevo già perduto tra scaglie, sbudellamenti e schizzi di umori ittici, e che quindi iniziavo a pentirmi di non aver scelto piuttosto del tonno in scatola, all’improvviso vedevo il mondo con occhi diversi. Non avevo manco dovuto chiederlo, che dico, non lo avevo manco pensato, e il miracolo si realizzava sotto i miei occhi. Che civiltà, che urbanità, che cortesie! Eh, il Nord!

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Stavolta però, qualcosa non ha funzionato. Avevo chiesto al telefono due chili di sarde sfilettate. Non c’è problema, come al solito. Passo a ritirarle alle sette di sera. Tanto, mi dico, le preparo in un baleno, sono già praticamente pronte. Torno a casa, apro il cartoccio. Le sarde ci sono tutte, sì, freschissime, sì, ma sane come dei pesci, come appena pescate.

AAAARRRRGGGGHHH!

E mo’ che faccio? La cena è prevista alle otto. Non ci sono ospiti, siamo solo il Pitone e io. Ma poi devo lavorare, devo. E poi domani parto, e quindi non se ne parla di lasciarle in frigo. Mannaggiallamiseria, mannaggia, mi tocca pulirle a me. La faccio breve: armato di forbici, faccio quello che ho visto fare milioni di volte alle mie nonne, a mio nonno, a mia madre, a mia zia, alle prozie, alle vicine, che non se lo sono mai manco sognate di chiedere di essere pulite il pesce dal pescivendolo (le sarde poi!) . Le ho pulite io, prima spanzandole e tagliando le teste, poi diliscandole. Due chili, non aggiungo altro. Ah, le civiltà, le cortesie, le urbanità del Nord (puozznomambenn’!).

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Avevo in animo di preparare una ricetta veloce (no comment), di quelle grezze, dal sapore deciso. Perché a me, come a qualcuno, piace (anche) grezzo:

Sarde in teglia: ricetta grezza

 Ingredienti:

  • 1 Kg di sarde già pulite e diliscate (oppure 2 Kg di sarde intere, se siete in vena);
  • polpa di 4 o cinque pomodori da sugo a pezzetti;
  • pan grattato q. b. (abbondate, ché se ne avanza lo conservate in frigo per le prossime preparazioni);
  • capperi (quantità a piacere);
  • prezzemolo fresco tritato (idem);
  • uno spicchio di aglio (meglio se rosso, e di Sulmona, molto meglio);
  • olio extravergine d’oliva;
  • sale q. b.

Preparazione:

Mescolerete il pan grattato con l’aglio e il prezzemolo tritati, un pizzico di sale e l’olio, sgranando bene con la forchetta e non facendo formare grumi. Ungerete una teglia con olio, spolverandola poi del pan grattato di cui vi ho detto sopra. Su questa base inizierete a disporre i filetti di sarde fino a formare uno strato, che condirete con un po’ di polpa di pomodoro, qualche cappero, un po’ di pan grattato e un filo d’olio.

imageProseguirete poi con un secondo strato, dove procederete allo stesso modo.

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Finirete poi col terzo strato, che ricoprirete solo del pan grattato e condirete ancora con olio a filo. image

Cuocerete per una ventina di minuti al massimo in forno a 180° (ma i forni suoi ognun li sa), fino a quando non si formi una bella crosta dorata in superficie.

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Ecco, le Sarde in teglia: ricetta grezza sono pronte. Il Pitone domestico e io le abbiamo accompagnate con del baba ganoush, che magari vi racconterò un’altra volta.

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Ciomp!

🙂

Poi però ho dovuto pensare al disastro in cucinaimage

😦

La cucina dei veri uomini

I veri uomini cucinano. Ma cucinano solo poche cose. Fanno solo la cucina dei veri uomini. Appunto. Niente verdure. Niente dolci. Solo carne, pesce o, al massimo, pasta, ma spaghetti, solo quelli e piccanti. Sono veri uomini. Se fosse per loro manco le cucinerebbero queste cose. Le mangerebbero così, i veri uomini. Mica si pigliano i virus, i veri uomini. Ma i veri uomini devono scendere a patti col mondo. E quindi, poi, carne e pesce li cucinano anche. Solo in certi modi però. Solo nei modi previsti per i veri uomini. Se sono veri uomini veri, la carne e il pesce li hanno catturati con le proprie mani. Sennò che veri uomini sono?
Di fronte a quei due pezzi di cinghiale ero un po’ perplesso. Non l’avevo catturato io, ma uno di quegli uomini veri di cui sopra, ed era stato regalato ai miei. Perplessi un po’ pure loro, ché il cinghiale, come me, non l’avevano mai cucinato. Non cucino spesso carne, come avrete capito leggendo il mio blog; questa era forse l’occasione giusta per cimentarsi con qualcosa di difficile e diverso. Qualcosa da uomini veri. Eccome.

Cinghiale in salmì
ricetta

ingredienti (per le persone che ce la fanno a mangiarselo, non so proprio dirvelo per quanti. E poi, bisogna proprio? Se avanza lo tenete in frigo, senza tante storie)

1 kg di polpa di cinghiale, meglio se con osso;
2 litri di buon vino rosso (ho usato il montepulciano d’Abruzzo che fa mio padre, che il vino lo fa proprio bene, questo per dire che il vino deve essere di corpo e buono)
1 cucchiaio di bacche di ginepro;
1 cucchiaio di pepe bianco e nero in grani;
1 cipolla;
2 carote;
1 costa di sedano;
1 rametto di rosmarino;
2 spicchi d’aglio;
3 foglie di lauro;
1 ramo di prezzemolo
1/4 di una stecca di cannella, o meno, se credete (con la cannella io non sono mai timido, mi piace assai, ormai l’avete capito);
7 o 8 chiodi di garofano (per la quantità di questi vedi alla voce “cannella);
1 grattata di noce moscata;
sale quanto basta

Preparazione

In una teglia capiente, o, meglio ancora, in un bacile di ceramica, mettete la carne a macerare nel vino con gli odori e le spezie che vi ho elencati sopra, avendo cura di affettare la cipolla e le carote. Agli e sedano, invece, li lascerete così, interi. Badate che la carne deve essere coperta dal vino, se la quantità indicata non fosse sufficiente, aggiungetene. Ponete la teglia o bacile, purché coperta, in frigorifero e lasciate riposare per almeno 12 ore.

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Passato questo tempo, togliete la carne, tagliatela a pezzetti e riponetela a macerare nuovamente per almeno altre 12 ore.

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Una volta terminata la la seconda marinatura si può procedere alla cottura.  Scolate bene la carne dalla marinata. Ungete il fondo di una pentola con dell’olio extravergine d’oliva, scaldetelo, e rosolate il cinghiale per qualche minuto (non impazzite a liberarlo delle spezie e verdure che vi restano impigliate, rosolate pure quelle).

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Dunque, eliminate dalla marinata aglio e sedano interi. Lo faccio perché darebbero un sapore troppo forte il primo, troppo da minestrone il secondo, e poi il loro servizio aromatizzante hanno già avuto tutto il tempo di svolgerlo. A questo punto aggiungete la marinata alla carne rosolante e fate cuocere a fuoco dolcissimo. Lasciate il cinghiale sul fuoco per almeno 4 ore a pentola coperta, controllando che non attacchi, e rimestando di quando in quando.

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Sarà pronto quando la carne sarà tenera, il vino assorbito e le spezie sfrante. Aggiustate di sale e servite. Potete gustarlo così, con della polenta, o condirci dell’ottima pasta. A voi la scelta.

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Io ho fatto come gli uomini veri, l’ho mangiato così, senza manco il pane. Eh, gli uomini veri, quando sono veri per davero… 🙂

Il Pitone domestico mi ha dato delle dritte fondamentali per la preparazione, ma non c’era, quindi non ha potuto gradire. Ma di sicuro avrebbe.

Ciomp!

 

 

 

 

 

 

Spekulatius 2013: dalla teoria alla pratica

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L’ansia per il giocattolo nuovo (questo blog) mi ha deconcentrato, e, alla fine, negli Spekulatius ho dimenticato un ingrediente: il pizzico di sale. Mannaggiallamiseria! Non sarà fondamentale, ma mi piace razzolare bene, almeno quando metto in pratica le ricette che faccio mie. L’anno prossimo vedrò di essere più diligente.

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Gli Spekulatius sono venuti. Bene, credo. La consistenza mi sembra ottima, il sapore non so ancora. Li ho assaggiati, ma il gusto per i primi due giorni è indefinito, quindi bisogna aspettare.

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Se passate da queste parti…

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