Nelle prime settimane di ottobre, dopo aver vendemmiato e fatto il vino, ci trasferivamo di nuovo in paese. In campagna avevamo trascorso l’estate, nella casa dei miei nonni paterni, senza riscaldamento, solo con un camino nella cucina, senza acqua calda e col bagno fuori. Grande, per carità, il bagno, ma fuori. E senza acqua calda. Ah, questo l’ho già detto. Ritrovare gli agi di un appartamento moderno e civile al rientro in paese era piacevole, ma lo era pure vivere in modi più rustici, testando un po’ i limiti della nostra resistenza ai rigori dell’autunno nelle case di campagna del Sud (che, non so se lo sapete, sono le più fredde del mondo). O per lo meno, a me bambino e ragazzo piaceva assai. A tutto il resto della famiglia, tranne di sicuro mia nonna e forse mio padre, no. La vita sociale ne veniva ostacolata: lo struscio in sostanza era sottoposto agli orari degli autobus, o ai passaggi di provvidenziali cugini grandi, o dei vicini “permessi” (eh sì, c’erano anche quelli con cui rapporti di questo tipo non lo erano) e in epoche senza cellulari e senza manco il telefono (in campagna non c’era) gli altri giovani di casa si scocciavano non poco della permanenza in villa (si fa per dire).
Il trasferimento in paese portava con se però impercettibili inconvenienti. Le case moderne non avevano il camino, pertanto la cucina sotto al coppo non era più praticabile e veniva archiviata fino all’estate successiva, quando cioè coppo e camino sarebbero stati di nuovo disponibili. Si restava così privati dalle ricette invernali della tradizione locale. La privazione non era drastica. Quei piatti si finiva poi sempre per riceverli in dono da qualche zia, qualche comare. Ma nessuno in casa li faceva più per la mancanza di coppo e camino di cui sopra. Né qualcuno si è mai sognato di andare in campagna apposta per usare coppo e camino per preparare qulcosa (nel frattempo surgelandosi per il freddo di cui sopra), né tantomeno di provare a usare il forno come alternativa. Nella mia famiglia interrompere tradizioni è un atteggiamento ricorrente. E così la ricetta della Pizza di mosto cotto sarebbe andata persa. Sarebbe…
Dunque, tra le cose che non facevamo più c’è la Pizza di mosto cotto, che, lo dice il nome, ha il mosto cotto come ingrediente principale, ma non è una pizza, non nel senso che la nostra lingua dà comunemente al termine. Nel dialetto abruzzese, la parola “pizza” indica qualsiasi cosa sia tondeggiante e più larga che alta. Può essere dolce (per esempio la Pizza dolce è per noi la classica torta di compleanno) o salata (per esempio la Pizza di granturco). La Pizza di mosto cotto è un dolce.
Non ne ho trovata mai una ricetta formale, della Pizza di mosto cotto. Neppure in Internet dove ora si trova (quasi) tutto. In Internet in verità una ce n’è, ma l’ho scritta io anni addietro. Ho visto che da qui è stata poi rispresa in vari siti, accompagnata da una fotografia diciamo fantasiosa, visto che nessuno l’ha mai vista, ‘sta Pizza di mosto cotto, si sono sbizzarriti, guardate qua:
Dunque, riprendiamo il filo dopo un momento di raccapriccio divertente. Io non so nemmeno quanti la facciano ancora e se addirittura la si faccia . Io la conosco solo perché nella mia famiglia c’era qualcuno, una cara prozia da qualche anno scomparsa, che la preparava sempre in questo periodo, e sempre me ne teneva da parte un pezzo per quando tornavo “da ammond’ ” (“da su”), dove ero andato a studiare. Nelle altre case abruzzesi che frequentavo fuori dall’ambito familiare, comunque, non mi capitava mai di veder né di sentire parlare della Pizza di mosto cotto, e se ne io parlavo con amici del luogo (ne andavo e ne vado ghiotto) capivo che non la conoscevano (a differenza di quanto per esempio poteva accadere con le Nevole, che sono il dolce cruciale di Ortona).
La Pizza di mosto cotto in casa mia era ritenuta una leccornia, ma difficile, e impossibile senza il camino. Il camino poi alla fine degli anni Ottanta è arrivato, e con esso il coppo, ma l’atteggiamento non è mutato. Io però ad un certo punto ho chiesto alla prozia di cui sopra di spiegarmi la ricetta. E ho così imparato a fare la Pizza di mosto cotto. Che per essere difficile è difficile, ma non è certo impossibile.
Ho fatto la Pizza di mosto cotto qualche settimana fa, per una cena con amici. Avrei voluto farla nel camino, sotto al coppo. Ma le temperature di quest’autunno erano troppo calde. E per tenere il camino acceso tutto il tempo necessario per usare il coppo, avrei dovuto invitare gli amici a una festa hawaiana, non a una cena abruzzese (il primo era polenta con le salsicce… z’avassèm’ sfiatèt’ de call!). E così ho usato il forno, ché non muore nessuno. Lo usava pure la prozia, e la Pizza viene bene lo stesso (ma col coppo è un’altra cosa. Sempre!).
Per dirla tutta in questa ocasione si è sfiorata la tragedia. Nonostante io qui mi dia arie, le ricette tradizionali abruzzesi non le faccio se non molto di rado (ci ho una vita e un lavoro, del resto), e se la teoria è a posto, la prassi è quella che è. Complice una lunga telefonata con un amico/collega da Vienna, ho tenuto in forno la Pizza forse troppo, facendola colorire in modo eccessivo. Quasi non ci ho dormito la notte. Noi Ortonesi siamo così con tutte le ricette che abbiano il mosto cotto: se non riescono bene, siamo capaci di piangere il morto per generazioni. Capirete poi meglio leggendo gli ingredienti perché. Alla fine è andato tutto bene: nonostante il colore brunito la Pizza era ottima. Ma per sicurezza ho preparato un secondo dessert, una crema di ricotta che gli amici, Pitone incluso, hanno accompagnato alla sublime Pizza di mosto cotto (principianti!)
Pizza di mosto cotto (Pizz’ de mmist’ cott’)
Ingredienti:
- 1 litro di sottame di mosto cotto di uva bianca “Pergolone” (qui andiamo sul molto difficile. Il mosto cotto di uva “Pergolone” non lo fa quasi più nessuno; il sottame, poi, è una chiccheria suprema. Se avete del mosto cotto, n’importe quoi, usate quello, ché andrà bene. Certo, il sapore sarà diverso…)
- ½ litro di olio extravergine d’oliva;
- 1 kg circa di farina di grano duro;
- noci e mandorle tostate e tagliate a pezzi grandi (quantità a piacere);
- semi di anice (a piacere);
- cannella in polvere e in stecchi (2);
- buccia grattugiata di 3 arance (non trattate, mi raccomando!);
- liquore all’anice (un dito, se vi va).
Preparazione:
La preparazione è la stessa delle Nevole, ma qui ci si risparmia il traffico del fare le cialde col ferro, di spaccarle bollenti ecc. ecc. ecc. Farete bollire il sottame di mosto cotto con l’olio, le arance (da cui avrete grattugiato la buccia), due stecchi di cannella. Quando raggiungerà un bollore molto vivace lo verserete su una parte della farina, nella quale avrete mescolato la buccia d’arancia grattugiata, i semi di anice, le noci e le mandorle tostate e tritate a pezzettoni e la cannella in polvere (la ricetta prevede 1Kg di farina, ma è meglio iniziare con un po’ di meno, diciamo un 800 gr. circa; se vedete che l’impasto è troppo morbido potrete sempre aggiungerne). Questo procedimento si chiama “incuocere la farina” (si usa in molte altre preparazioni abruzzesi). Suggerisco di farlo a più riprese, rimettendo sempre la pentola con l’olio e il mosto sul fuoco in modo che non smetta mai di bollire.
Lavorarerete l’impasto con un cucchiaio di legno, aggiungerete il liquore e un pizzico di cannella macinata, e passerete ad impastare a mano non appena la temperatura della massa ve lo consentirà. Continuarete a lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo e morbido; non occorrerà lavorarlo a lungo (pensate agli gnocchi per regolarvi. Ah, ma voi comprate solo quelli già fatti? No? solo quelli in busta? Siete senza speranza! ).
Metterete l’impasto in una teglia da forno, dandogli una forma tonda e schiacciata, con uno
spessore di 4 o al massimo 5 cm. Sulla superficie traccerete dei solchi profondi circa ½ centimetro a scacchiera (ogni quadrato dovrà misurare circa 3/4 centimetri per lato).
La ricetta originale prevede a questo la cottura nel camino sotto la cenere (vedi sotto), ma bisogna essere esperti e avere il coppo; vi consiglio perciò di usare il forno.
Cuocerete la Pizza di mosto cotto in un forno molto caldo (200 gradi o poco più) fino a che non si vedrete la superficie diventare più scura (occorrerà circa un’ora). A questo punto sfornerete avvolgerete subito la teglia con 3 o 4 strofinacci e la terrete così, fino a quando non diventerà completamente fredda.
Pizza di mosto cotto sotto al coppo
Per la cottura sotto il coppo è necessario aver acceso il fuoco da alcune ore perché la temperatura del camino sia molto calda, e perché ci sia sempre tanta brace a disposizione. Prima di preparare l’impasto si procederà a scaldare il luogo della cottura ponendo della brace viva sul pavimento della parte del camino in cui si metterà la teglia col coppo. Una volta pronti con l’impasto, si allontanerà la brace, si metterà la teglia nel camino, vi si porrà sopra il coppo, circondandolo e coprendolo di brace (farete attenzione però a non esagerare, altrimenti il dolce brucerà). Una volta, credo, si cuocesse la Pizza mettendola sotto il coppoma senza teglia, posandola direttamente sul pavimento del camino. Se ci avete il camino adatto, procederete così. Il tempo di cottura è all’incirca quello che occorre col forno di casa. Una volta cotto, togliere la teglia dal fuoco, la avvolgerete in alcuni strofinacci e fino al completo raffreddamento.
La Pizza di mosto cotto, come le Nevole, è bene prepararla uno o due giorni prima di mangiarla. Specie se usate il mosto cotto giusto, è un dolce aromatico, dai sapori complessi, che devono avere il tempo maturare per schiudersi al palato in tutto il loro variegato bouquet (oddio, adesso parlo come un sommellier da fumetto, fermatemi!)