Una pizza a quest’ora?

Tra poco è ora di cena, e questa non è ora di pizze. Non lo è nella tradizione gastronomica della casa in cui sono cresciuto, che oltre che “gastro” è molto “nomica”, nel senso che è regolata da leggi e consuetudini ataviche e soprattutto rigorose, rispettate sempre con attenta scrupolosità. Tra queste c’è quella che riguarda la pizza di cui vi parlo oggi: non si mangia mai a cena; solo a pranzo. Non è la pizza a cui state pensando: in Abruzzo tante cose portano il nome “pizza”. Questa è una di quelle. È la cosiddetta “pizza ggialla” o “pizz’ d’ ‘randinnjie,” cioè “pizza di granturco.” Si accompagna alle verdure, o allo stoccafisso, che a casa dei miei si mangiano solo, e dico SOLO, a pranzo. La pizza convenzionale, invece, si mangia solo, e dico SOLO a cena. Come del resto la verdura si mangia il lunedì, il brodo  il sabato, il ragù solo il giovedì e la domenica, la pasta solo a pranzo e potrei continuare. Dal piatto che ci si trova davanti a casa mia (ma la mia famiglia d’origine non è certo un’eccezione) si capisce il giorno della settimana.

Dunque, dicevo della pizza ggialla che si mangia solo a pranzo, specie di lunedì, che è il giorno della  verdura. È di una semplicità disarmante, ma proprio per questo nasconde qualche insidia. Gli ingredienti sono pochissimi. Ma non ci sono dosi: tutto si fa a occhio, “a sentimento” —  ricordando che   in Abruzzese “sentimento” significa insieme “sensibilità” e “intelligenza”; dire di qualcuno (dirlo a qualcuno sarebbe un filo pericoloso per chi lo fa) che non ha manco un po’ di sentimento equivale a dargli dell’ottuso.

Contintuo a divagare. Ecco, gli ingredienti sono questi:

Ingredienti

  • 2 parti di farina di granturco tipo “fioretto” (cioè quella sottile, non quella bramata)
  • 1 parte di farina di grano duro. Non è la semola, bensì la farina: è più sottile. Potete anche farla tutta di granturco, ma con le due farine è migliore. Se avete solo la semola, usate quella. Io uso una tazza da the come unità di misura.
  • sale (quanto basta, e quanto vi piace)
  • acqua
  • olio d’oliva buono

Preparazione

Mescolerete accuratamente le farine e il sale in un bacile. Porrete intanto l’acqua a bollire. La quantità dipende da quella delle farine; per quattro persone (cioè tre tazze da the di farine) io ne metto a bollire circa due litri.

Quando l’acqua bolle in modo intenso, inizierete a versarne nel bacile sulle farine, mescolando con un cucchiaio di legno. Procederete con poca acqua alla volta, riponendo sempre la pentola sul fuoco acceso perché deve essere sempre bollente. Versando e mescolando, otterrete in breve un impasto malleabile. Fermatevi con l’acqua e cercate di impastare anche se non tutta la farina sarà bagnata. Scotta, sì, lo so, ci vorrebbero le mani da contadini che pochi ormai hanno, ma con un po’ di pazienza ci si riesce. Formerete una palla, che schiaccerete ottenendo unaspecie di focaccia alta almeno due dita.

Cottura

La pizza ggialla si cuoce nel camino sotto al coppo che ho spiegato qui.  Ma si cuoce anche al forno, o in padella. Vi spiego l’ultima, la più veloce. Prenderete una padella, la ungerete e la porrete sul fuoco a fiamma viva, meglio se con uno spargifiamma. Quando sarà ben calda, ci porrete dentro la pizza e la lascerete rosolare, fino a quando non sentirete un bel profumo di arrostito e leggerissimamente bruciato. A quel punto girerete la pizza, fancendola rosolare dall’altro lato. Dovrà formarsi una bella crosta croccante.

Quando avrete ottenuto l’effetto, la pizza sarà pronta. Potrete accompagnarla alle verdure in umido (scavando la parte morbida e mescolandola ad esse, e mangiando quella croccante a mo’ di pane), allo stoccafisso in umido, o a quello che vi pare. Funziona benissimo come sostituto del pane, e dura per qualche giorno.

In giorni come questi, quando anche il lievito di birra è un’araba fenice, la pizza ggialla potrà essere, spero, d’aiuto.

 

 

14 pensieri su “Una pizza a quest’ora?

  1. Ciao, Vincenzo, che piacere rileggerti, di questi tempi! Ma dimmi, la cottura al forno, della quale fai solo un cenno, in cuor tuo la sconsigli? Oppure, come la porto avanti?

    1. Ber ritrovato, B.! Ti leggo sempre su OC, dove sei certo più regolare di me su questo blog. Allora, io consiglierei la cottura in padella, che è più rapida e dà ottimi risultati. La cottura al forno è più lunga e io non la faccio mai (se ho tempo, visto che ho il camino, cuocio la pizza sotto al coppo). Ma viene bene uguale, solo un filo più asciutta. Dunque, la cottura al forno si fa a temperatura massima, come per la pizza (quella standard) o il pane. Non userei però una teglia a mo’ di padella, ma una teglia da pizza (standard), avendo cura di ungere la pizza sotto e sopra, magari con una passata di grill per la crosta sul lato superiore. Quando torno dalle tue parti ci rivediamo a cena, ok?

      1. Ricevuto messaggio, vada per la padella 🙂 . Non mi spaventa fra l’altro, ricordo sempre che mia madre in padella -appunto- preparava anche (in forma monoporzione, uno per ciascuno) il gattò di patate, solo più tardi ci adattammo a infornarlo. Sarà una gioia ritrovarci a cena, e speriamo presto!

      1. Ciao Vi… non ne ho idea… mai fatta.. (cose essere OC a cui accenni sopra?)…. ho una domanda: per un possibile progetto di lavoro sui dolci italiani, mi sai dire per cortesia quali sono i dolci abruzzesi tipici e buoni che tu faresti conoscere? il criterio non è storico-documentaristico… ovvero: dolci sì tradizionali, ma allo stesso tempo buoni (sto sperimentando con torte che sono si tradizionali ma spesso cosi parche e monastiche da risultare banali e noiose per palato attuale)- grazie— ste (ora spulcio anche qui ovviamente)

      2. Ciao, Ste. Vado per ordine: OC sta per OperaClick, un sito per appassionati d’opera.
        Che progetto interessante. Sono lusingatissimo di darti qualche dritta sui docli abruzzesi tradizionali, ma soprattutto buoni per i palati d’oggi

      3. 1) le Nevole: dolce solo ortonese;
        1bis) la pizza di mosto cotto, che alle precedenti è strettissimamente imparentata
        2) il Parrozzo, dolce creato dal pasticciere pescarese Luigi D’Amico negli anni 1920 e adesso divenuto tradizionale
        3) il Fiadone dolce. Anche questa è una reinterpretazione dolce di una torta rustica salata (e pasquale) al formaggio
        4) il Soffione di ricotta (dolce pasquale)
        5) e 5bis) i Cellipieni, o Uccelletti di Sant’Antonio; insieme ai Cavicioni/Calcioni/Caggionetti
        6) i Bocconotti. Qui è necessaria una glossa: i più famosi e universalmente amati sono quelli di Catel Frentano, con la cioccolata. Ne esiste un’altra versione, con il ripieno di mandorle. Secondo me questi sono infinitamente più buoni e interessanti, ma so di essere in minoranza. La ricetta di questi è impossibile da trovare in rete (c’è sempre e solo quella degli altr); nel caso ti interessi dimmelo: io ovviamente ce l’ho.

      4. 7) le Pupe e i Cavalli di Pasqua (nella versione con impasto di mandorle)
        8) i Mostaccioli (li amano tutti; io non ne vado matto)
        9) le Pizzelle (o ferratelle) ripene di marmellata d’uva ‘aggiustata’
        10) Torroncini (biscotti alla mandorle)
        11) Pizza di ricotta (= crostata di ricotta)

        Ecco, questi sono quelli che a piacciono di più, e che adesso mi vengono in mente. Dimmi pure se serve altro. v

      5. ciao vincenzoe e grazie quando ho finito la mia lista te la mando e mi dici cosa ne pensi. di fatto molte delle tue scelte, sono anche le mie. sono partito dal tuo blog e poi ho esteso. ho escluso il fiadone perché qui il pecorino fresco proprio miraggio, dato che giù la ricotta buona molto difficile. il parrozzo non mi piace e poi mi sto limitando ai dolci di casa. .. sto valutando, se progetto si realizza, di comprare ferretto per ferratele…sì, grazie: quando hai tempo e con calma mandami tutte le ricette che hai e che ritieni buone. grazie e a presto…ste
        ps: comunque studiare dolci del centro sud, molto interessante per un nordico…

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