Lo ammetto, a vivere nelle pianure del Nord ci sono dei vantaggi: quando vai in pescheria ti puliscono il pesce. Può dirsi, senza adulazione alcuna, che questa sia una civilissima convenzione, segno di urbanità antica. Dove il pesce è un fatto quotidiano e non (solo) prelibatezza esotica (e, in fondo, sempre un po’ misteriosa come qui), invece, non si usano certe cortesie. Nei posti di mare, specie dalle mie parti, al Sud, chiedere al pescivendolo di “essere puliti il pesce” suonerebbe un po’ come pretendere dal fruttivendolo di essere “sbucciati le mele” e a casa propria. È una cosa che semplicemente non si fa. Capirete il mio stupore, la mia prima volta, quando al banco del pesce una signora gentile mi rivolgeva la domanda «vuole che gliela pulisca?» riferendosi alla spigola che avevo appena scelto. Come?!? E io che mi vedevo già perduto tra scaglie, sbudellamenti e schizzi di umori ittici, e che quindi iniziavo a pentirmi di non aver scelto piuttosto del tonno in scatola, all’improvviso vedevo il mondo con occhi diversi. Non avevo manco dovuto chiederlo, che dico, non lo avevo manco pensato, e il miracolo si realizzava sotto i miei occhi. Che civiltà, che urbanità, che cortesie! Eh, il Nord!
Stavolta però, qualcosa non ha funzionato. Avevo chiesto al telefono due chili di sarde sfilettate. Non c’è problema, come al solito. Passo a ritirarle alle sette di sera. Tanto, mi dico, le preparo in un baleno, sono già praticamente pronte. Torno a casa, apro il cartoccio. Le sarde ci sono tutte, sì, freschissime, sì, ma sane come dei pesci, come appena pescate.
AAAARRRRGGGGHHH!
E mo’ che faccio? La cena è prevista alle otto. Non ci sono ospiti, siamo solo il Pitone e io. Ma poi devo lavorare, devo. E poi domani parto, e quindi non se ne parla di lasciarle in frigo. Mannaggiallamiseria, mannaggia, mi tocca pulirle a me. La faccio breve: armato di forbici, faccio quello che ho visto fare milioni di volte alle mie nonne, a mio nonno, a mia madre, a mia zia, alle prozie, alle vicine, che non se lo sono mai manco sognate di chiedere di essere pulite il pesce dal pescivendolo (le sarde poi!) . Le ho pulite io, prima spanzandole e tagliando le teste, poi diliscandole. Due chili, non aggiungo altro. Ah, le civiltà, le cortesie, le urbanità del Nord (puozznomambenn’!).
Avevo in animo di preparare una ricetta veloce (no comment), di quelle grezze, dal sapore deciso. Perché a me, come a qualcuno, piace (anche) grezzo:
Sarde in teglia: ricetta grezza
Ingredienti:
- 1 Kg di sarde già pulite e diliscate (oppure 2 Kg di sarde intere, se siete in vena);
- polpa di 4 o cinque pomodori da sugo a pezzetti;
- pan grattato q. b. (abbondate, ché se ne avanza lo conservate in frigo per le prossime preparazioni);
- capperi (quantità a piacere);
- prezzemolo fresco tritato (idem);
- uno spicchio di aglio (meglio se rosso, e di Sulmona, molto meglio);
- olio extravergine d’oliva;
- sale q. b.
Preparazione:
Mescolerete il pan grattato con l’aglio e il prezzemolo tritati, un pizzico di sale e l’olio, sgranando bene con la forchetta e non facendo formare grumi. Ungerete una teglia con olio, spolverandola poi del pan grattato di cui vi ho detto sopra. Su questa base inizierete a disporre i filetti di sarde fino a formare uno strato, che condirete con un po’ di polpa di pomodoro, qualche cappero, un po’ di pan grattato e un filo d’olio.
Proseguirete poi con un secondo strato, dove procederete allo stesso modo.
Finirete poi col terzo strato, che ricoprirete solo del pan grattato e condirete ancora con olio a filo.
Cuocerete per una ventina di minuti al massimo in forno a 180° (ma i forni suoi ognun li sa), fino a quando non si formi una bella crosta dorata in superficie.
Ecco, le Sarde in teglia: ricetta grezza sono pronte. Il Pitone domestico e io le abbiamo accompagnate con del baba ganoush, che magari vi racconterò un’altra volta.
Ciomp!
🙂
Poi però ho dovuto pensare al disastro in cucina
😦